Quelli di noi che hanno provato un amore molto forte
e, nonostante abbiano combattuto con le unghie e con i denti per quel
sentimento e per non perdere la persona che suscitava emozioni tanto forti,
l'hanno perso, hanno conosciuto una sofferenza talmente profonda da rendere
loro davvero difficile anche solo pensare di rimettersi in gioco.
Perché soffrire per amore fa male, ci segna e ci fa chiudere,
e questo diventa più vero ogni volta che una relazione finisce, qualsiasi sia
il motivo; perché credere con tutte le proprie forze in qualcuno o in qualcosa
e poi rimanerne delusi ci fa gradualmente perdere la voglia di farlo ancora.
Nel caso in cui siamo stati traditi poi la questione
diventa particolarmente difficile in quanto non solo dobbiamo accettare la
sconfitta nei confronti di qualcosa che avevamo tentato di costruire e che è
crollato come un castello di carta davanti ai nostri occhi, ma anche per
l’abbattimento totale della fiducia che un tradimento inevitabilmente genera,
oltre al senso di colpa, nei confronti di noi stessi, causato dalla certezza di
non aver notato segnali che probabilmente ci sono stati, ma che noi,
ottusamente, non abbiamo colto.
Ecco quindi che conoscere qualcuno diventa
complicato, difficile tornare a fidarsi, quasi impossibile riuscire a lasciarsi
andare.
Perché diventa tanto rischioso metterci di nuovo in
gioco?
E' giusto lasciare che la paura ci paralizzi al
punto da costringerci a chiudere il nostro cuore?
L'autodifesa è normale per proteggerci dal dolore,
ma è anche vero se se non rischiamo ci neghiamo automaticamente anche la
possibilità di essere felici.
Ecco quindi formarsi un esercito di persone spaventate
che diventano, più o meno consapevolmente, delle vere e proprie mine vaganti, perennemente
in bilico tra il voler provare e il terrore di farlo, tra il volerci essere e
il voler fuggire via lontane, tra il voler conoscere una persona e, appena si
rendono conto che sta iniziando davvero a piacergli, scappare, chiudendo
automaticamente ogni possibilità che la relazione abbia un seguito. Questo tipo
di atteggiamento genera in chi ha a che fare con questi soggetti, una tale
confusione e insicurezza da provocare a sua volta
sofferenza, che si trasformerà in esigenza di autodifesa creando altre persone
spaventate dai sentimenti, che accresceranno l'esercito delle mine vaganti.
Finché un giorno ci fermiamo, ci guardiamo allo
specchio e vediamo la solitudine che abbiamo scelto, comprendendo che non ci fa
soffrire, è vero, ma non ci rende neanche felici, e che a furia di volerci
difendere abbiamo quasi dimenticato cosa significhi amare o condividere le
nostre emozioni con un'altra persona.
Quindi cominciamo a guardare indietro con nostalgia,
ricordando le sensazioni intense che abbiamo provato quando abbiamo avuto il
coraggio di lasciare aperta la porta del nostro cuore e, confrontandola con il
vuoto emotivo del presente, ci fa considerare che tutto sommato, forse, vale la
pena mettersi di nuovo in gioco, perché se in precedenza siamo riusciti a venir
fuori da una sofferenza tanto profonda potremo farlo ancora, e perché in fondo
il rischio di poter provare di nuovo dolore non è niente se paragonato alla
possibilità di essere felici, per un giorno, per un mese o per un anno.
Perché una volta rimarginate le ferite, ciò che
resta vivo nella nostra memoria emotiva è il ricordo dell’intensità delle
emozioni provate che ci hanno portato in alto, e che non si ripeteranno mai più
se sceglieremo di rinunciare al rischio di viverle ancora…e ancora…
Marta Lock
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