Perchè le musiche extraeuropee sono così difficilmente comprensibili e così lontane dal nostro orecchio musicale? Vediamo di rispondere a questa domanda facendo un breve viaggio nella musica indiana, la quale ha influenzato le culture musicali di altri paesi dell'Asia centrale e orientale.
Secondo l'antica mitologia indiana, la musica fu rivelata agli uomini da Brhama, il creatore dell'universo: in principio fu il suono che si espanse nel vuoto e infine apparve l'universo.
Da questo breve inciso si capisce quanto in India la musica e il canto (strettamente congiunti tra di loro), siano espressioni religiose prima che artistiche, in quanto comprese all'interno dell'universo mitologico e delle dottrine brhamaniche.
Nel corso dei suoi millenni di storia, l'India ha sviluppato strutture musicali e sistemi melodici altamente complessi nei quali la voce umana ha raggiunto in certi casi vertici di grande bellezza espressiva. E' da sottolineare che la musica indiana affonda le sue radici in un'immensa area abitata da popoli con culture e origini diverse, fino ad arrivare alle più recenti invasioni islamiche. Questo ha provocato l'adozione di svariate forme musicali e di un grande numero di strumenti diversi.
D'altra parte ci sono parecchi elementi che accomunano tutte queste culture musicali: la predominanza della musica vocale, lo sviluppo degli strumenti ritmici, l'importanza della linea melodica e dell'improvvisazione.
C'è un altro elemento in comune in queste musiche che le distingue dalla musica classica occidentale: la totale assenza dell'armonia. La musica indiana è puramente "melodica" e non presuppone l'utilizzo dell'armonia, in quanto costituita da suoni che stanno in correlazione esclusivamente per mezzo della loro durata.
I musicisti indiani affermano: "l'armonia influenza la struttura stessa della melodia al punto che per un europeo è diventato quasi impossibile immaginarsi una melodia senza aggiungervi mentalmente o in modo esplicito un sistema armonico".
E' probabilmente per questo che l'orecchio europeo riesce a malapena ad ascoltare una "melodia pura", cioè una melodia presentata in modo quasi del tutto spoglio.
L'altra differenza fondamentale tra la musica indiana e quella europea sta nel fatto che la musica indiana dà una grande importanza all'improvvisazione. Il musicista indiano è un improvvisatore e un potenziale inventore di forme sempre nuove perché l'India non ha mai formulato una vera e propria notazione musicale, come invece è successo in Europa, ed ogni esecuzine può dirsi, in sostanza, una nuova composizione.
La mancanza di notazione ha però un aspetto negativo: le composizioni del passato sono andate per sempre perdute.
La musica indiana si basa su un sistema diatonico e modale, in cui l'unità di base è la svara o nota.
E' una musica essenzialmente lineare, almeno per quanto riguarda gli stili cosiddetti "classici", che ignora completamente le risorse del sistema armonico, del contrappunto e del canto corale. Il numero delle note si modifica a seconda del sistema musicale adottato: può andare da una o due nel pronunciamento del tantra, fino alle pentatoniche, esatoniche e eptatoniche per le melodie più complesse.
A parte la posizione del solista, il complesso orchestrale indiano consiste in un piccolo numero di musicisti. Questo si spiega con il fatto che in un sistema modale non è concepibile uno sviluppo polifonico e ancora meno uno sviluppo orchestrale, come invece è avvenuto in Europa.
Per concludere questa breve (forse troppo) panoramica sulla musica indiana, voglio citare il musicologo e orientalista Alain Danielou il quale afferma che:
"La musica indiana è una musica che parla, che elabora un'idea, che analizza un'emozione. Si sviluppa come l'arte oratoria e richiede un'applicazione particolare della memoria, perchè è mentalmente che i suoni musicali successivi si compongono di una struttura intelligibile. Il loro senso non appare che nello sviluppo della frase, esattamente come nel linguaggio".
Informazioni sull'Autore
Mirco Conforti
Fonte: Article-Marketing.it
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