La
pizza è il piatto italiano per eccellenza, nata, nella forma in cui la
conosciamo oggi, all’incirca nel quindicesimo secolo (1600), nella città
di Napoli. La tradizione di cuocere una sottile sfoglia di pasta
ricavata da farina ed acqua risale alla notte dei tempi, pare fosse
conosciuta addirittura dagli antichi egizi e dagli etruschi. Una
tradizione diffusa un po’ in tutto il mondo, visto come ancora oggi si
trovano echi di questa pietanza base nel chapati indiano, nello tsampa
tibetano e in molte altre culture sparse in giro per il mondo.
Ma nessuna si avvicina neanche lontanamente all’idea geniale, per quanto semplice, di condire questa focaccia con la salsa di pomodoro per renderla più morbida e gustosa.
Questa
intuizione venne solo agli abili panettieri napoletani dopo
l’importazione del pomodoro nel continente europeo. Ricordiamo infatti
che prima della scoperta delle Americhe questo ortaggio era sconosciuto
nel vecchio continente. Da allora la pizza divenne così famosa che piano
piano è stata esportata nel mondo ed oggi, oltre ad essere uno dei
simboli della cultura, non solo culinaria, italiana, è uno dei piatti
più mangiati al mondo.
Di
certo la “vera” pizza, in senso storico, quindi, è quella napoletana.
Ma a farle concorrenza, sempre più spietata, oggi si affianca una
tradizione che emerge dai rimescolamenti dell’originale ricetta
architettati dai pizzaioli della capitale.
La differenza non sta nella farcitura, che può essere estrosa e identica sia nella pizza alla romana che in quella napoletana. La differenza è nell’impasto: croccante, basso e ben cotto in quella romana, alto, morbido e - qualcuno accusa - leggermente poco cotto, quello napoletano.
Le
due fazioni hanno veri e propri nugoli di fan: quelli a cui piace la
versione napoletana dichiarano che quella romana non è pizza, e,
viceversa, quelli che amano la pizza piatta e croccante alla romana non
sopportano la “plasticità” di quella napoletana.
Tuttavia
bisogna dire che le reciproche accuse spesso vengono da
fraintendimenti: non è vero che una qualsiasi pizza, perché alta e mezza
cruda, sia “napoletana”, come non è vero che una pizza troppo dura,
perché troppo fina e secca, debba essere bollata come “romana”.
In verità entrambe sono frutto di sapiente arte:
la pizza napoletana deve essere morbida nei bordi e dare più spazio al
condimento nella parte centrale, tanto che quasi la base non deve essere
percepita. La pizza romana al contrario deve fornire un supporto ben
identificabile al condimento, ma senza essere né dura né bruciata, bensì
friabile e croccante.
Solitamente le due pizze variano anche nella
grandezza: quella napoletana è più contenuta, perché, possiamo dire, si
sviluppa in altezza: quella romana è più larga perché si sviluppa in
orizzontale.
Entrambe, se cucinate secondo regola, offrono al palato un’esperienza culinaria eccezionale.
Forse l’unico appunto effettivamente da fare alla pizza napoletana è quello di essere meno digeribile, proprio per il fatto che l’impasto, per essere così morbido e soffice, non viene completamente lievitato.
Altro fattore importantissimo è la cottura:
la pizza romana deve essere rigorosamente cotta a legna, perché gli
altri tipi di forni non forniscono la stessa cottura uniforme né la
pregiata friabilità. Inoltre, essendo la pizza così fina, nel forno a
legna basta una breve posa sul piatto surriscaldato per far sì che la
pizza risulti cotta a puntino. E badate bene: i bordi abbrustoliti e anneriti dal fuoco vivo fanno parte del pacchetto!
Quindi,
al pari che per la cucina tipica romana, per gustare una “vera” pizza
romana bisogna scegliere con sapienza dove recarsi…
Anche qui, invitiamo a provare per credere:
prima di giudicare quale delle due tradizioni preferite, fermatevi in una pizzeria a Roma che faccia veramente la pizza romana. Ce ne sono. Non sono molte, ma ce ne sono.
La caccia è aperta. Buon appetito.
Informazioni sull'Autore
Simona Adriani @Osteria Allegro Pachino
Fonte: Article-Marketing.it
0 commenti:
Posta un commento