Novara Romana
L'area della pianura padana compresa tra i fiumi Agogna e Terdoppio, dove sarebbe sorta la futura Novara, fu colonizzata in tempi antichi da tribù di Liguri, in seguito celtizzati dall'avvento dei Galli Vertacomacori che posero le fondamenta del villaggio poi assorbito dalle sopraggiunte legioni romane nel II secolo a. C. L'insediamento trae il suo nome da Novaria (derivato da Novalia) e l'urbanizzazione romana connota la cittadella secondo il modello tipico del cardo e del decumano, cioè dell'incrocio di vie perpendicolari al centro di un rettangolo abitativo diviso in una particolare maglia a scacchiera (attualmente il cardo corrisponde al corso Italia-Cavallotti, in senso est-ovest, e il decumano a corso Cavour-Mazzini, in senso nord-sud). Il municipio di Novaria era circondato da notevoli mura difensive, contro gli assalti delle tribù selvagge dal nord, fornito di quattro porte. Ebbe le sue origini in Novaria l'avvocato dell'epoca augustiana Caio Albucio Silone. Le invasioni barbariche portarono in seguito lo scompiglio nelle città padane, con gravi saccheggi ovunque.
Novara prima dell'anno Mille
I Goti di Teodorico invadono il territorio novarese nel 489, scacciando i Burgundi di Gunebaldo, mentre già nel 569 la nuova ondata barbarica dei Longobardi guidati da re Alboino si insedia a Pavia, prendendo possesso anche di Novara. Un documento scritto in cui si cita la cittadella risale al 729, durante il loro dominio. Un duca locale, Mimulfo, viene decapitato nel 588 da re Agilulfo per tradimento a favore dei Franchi, che sopraggiungono nel 774 con le conquiste di Carlo Magno. Novara, nella zona nota come Bulgaria, diviene sede di Comitato e cresce nel frattempo l'importanza del suo episcopato. Nel 962 viene concessa da Ottone I al vescovo di Novara l'autorità coercitiva sugli abitanti della città e delle frazioni circostanti, specialmente Ossola, Pombia, Trecate e Vespolate. Durante il periodo di lotte tra Papato e Impero alcuni feudatari laici si opposero all'autorità religiosa: furono i Conti di Pombia, poi trasferitisi a Biandrate.
Fra Dolcino
Nella seconda metà del XIII secolo si sviluppò nelle terre del novarese e del vercellese l'eresia di Fra Dolcino, fondatore della setta degli apostolici. Questo movimento religioso era nato su un sostrato di profondo disagio economico che induceva i poveri a ribellarsi ad una Chiesa irretita dall'esercizio del potere politico e attratta dal fasto e dalla gloria mondana. Fra Dolcino e il suo predecessore Gherardo Segalelli, finito sul rogo nel 1300, intendevano riportare la Chiesa alla purezza e semplicità delle origini ma tale intendimento si tradusse spesso con atti di violenza esasperata contro inermi appartenenti alle diocesi del circondario novarese. I vescovi di Vercelli e di Novara e l'inquisitore Bernard Guy indussero papa Clemente V a scatenare una crociata contro i seguaci di Fra Dolcino, che fuggirono in Valsesia fomentando una sanguinosa resistenza. Nel 1307 Dolcino e sua sorella Margherita sono costretti a capitolare. Arrestati, sono bruciati sul rogo a Vercelli. Di tutti gli eretici noti Dolcino fu il solo che invece di fuggire davanti all'inquisizione si armò contro di essa e l'affrontò sino alla fine. Dante lo ricorda nel canto XXVIII dell'Inferno.
Petrarca a Novara
Quando il 13 giugno 1358 Galeazzo Visconti entrò in Novara, in seguito all'allontanamento del Marchese del Monferrato Giovanni il Paleologo, nel suo seguito vi era il poeta Francesco Petrarca, al servizio dei Visconti dopo il suo ritorno da Avignone e incaricato di leggere un discorso ai novaresi con lo scopo di imbonirli e favorire la distensione pacifica. Il testo, concordato con Galeazzo, fu letto in latino (e quindi non compreso) ai cittadini novaresi nel cortile della Canonica, parzialmente tradotto dai galoppini di Galeazzo, cui interessava solo l'esteriorità della cosa, l'importanza data al suo magnanimo perdono per i ribelli al suo volere e il fatto che potesse convincere tutti della sua falsa bontà e liberalità (ottenne lo scopo ma si vendicò su chi gli aveva preferito il Marchese con pesanti tasse di ogni tipo). Il testo originale del Petrarca rimase nascosto e sconosciuto per cinque secoli, infine fu trovato nella Biblioteca imperiale di Vienna.
Gaudenzio, primo vescovo di Novara
Le notizie storiche relative a san Gaudenzio, primo vescovo e patrono di Novara, sono desunte da una Legenda e da una Vita Gaudentii molto più tarde (redatte nell'VIII e XIII secolo) e certo storicamente non troppo attendibili, più che altro scritte con l'intendo dell'edificazione pia dei fedeli. Secondo la tradizione Gaudenzio sarebbe stato originario di Ivrea, nella seconda metà del IV secolo, di nobili natali, figura cardine dell'evangelizzazione del territorio novarese assieme a Eusebio di Vercelli e Ambrogio di Milano. Gaudenzio (il cui nome si tradurrebbe come colui che gode della visione di Dio) organizzò un clero e una chiesa salda, portatrice di valori religiosi, civili e sociali di fronte alla dissoluzione dell'impero. La celebrazione della sua festività corrisponde a quella del ritrovamento del corpo, avvenuto nell'841, quando il suo culto era già diffuso. Francesco Sforza nel 1460 si preoccupò di conservare, tramite precisi decreti, le caratteristiche fondamentali della celebrazione più vicine possibili alle originali. Gaudenzio governò la chiesa novarese per vent'anni e morì nel 418, lasciando come erede Sant'Agabio.
Novara dopo l'anno Mille
La discesa in Italia di Enrico V, nel 1110, giunto per schiacciare l'opposizione papale, vede Novara opporsi al sovrano ma senza potere ottenere vittoria. La sua ribellione provoca l'abbattimento delle mura difensive ma in seguito, sempre per concessione di Enrico V, la cerchia di mura e torri viene ricostruita e potenziata. L'imperatore però concede tali benefici non al vescovo bensì ai cittadini novaresi: nasce in questo modo il libero Comune di Novara, unica città del Piemonte dotata di Broletto. L'arrivo di Federico Barbarossa, che distrugge Trecate, Galliate e Momo, vede Novara prima dalla sua parte e poi contro, aderendo alla Lega Lombarda. I Conti di Biandrate riprendono a minacciare il circondario ma l'alleanza di Vercelli e Novara porta alla loro distruzione nel 1167. La supremazia del Comune di Novara si estende a quasi tutti i territori settentrionali, fino alla Valle Anzasca.
Novara sotto i Visconti
Attorno al 1257 la lotta tra guelfi e ghibellini novaresi, rispettivamente rappresentati dalle famiglie Brusati e Cavallazzi, detti i Sanguigni, e dalla famiglia Tornielli, detti i Rotondi, scoppia furiosa e le fazioni saranno pacificate solo nel 1310 con il sopraggiungere dell'imperatore Enrico VII. Novara si inimica Vercelli e Pavia per il predominio sulla Valsesia, ricorrendo all'aiuto di signorie milanesi (Torriani e Viscinti). Ventidue anni dopo Giovanni Visconti, futuro arcivescovo di Milano, si fa proclamare vescovo-conte e signore di Novara, dopo aver scacciato i dittatori Tornielli. La dominazione dei Visconti fu lunga, fatto salvo il periodo di controllo del Marchese del Monferrato Giovanni il Paleologo (1356) e del conte di Biandrate Facino Cane (1408-1412). Galeazzo Visconti, dopo aver devastato parte del territorio novarese, edifica il castello di Novara. Nel 1395 Gian Galeazzo Visconti annette la città e i suoi domini allo Stato Milanese. Con la morte di Filippo Maria Visconti, nel 1447, termina la dinastia viscontea e i novaresi, legati a Milano, riconoscono la signoria di Francesco Sforza.
Novara sotto gli Sforza
Francesco Sforza diviene nel 1447 duca di Milano e nel 1466 gli succede il figlio Gian Galeazzo, che si insedia nel castello di Novara. Libertino, crudele e fastoso, a causa del continuo aumento delle tasse per i propri piaceri, viene ucciso in una congiura nel 1476. Sua moglie Bona di Savoia tiene la reggenza per il figlio Gian Galeazzo ma il potere gli viene usurpato dallo zio Ludovico il Moro, che li confina ambedue a Pavia. Divenuto il quarto duca milanese della linea sforzesca, Ludovico, scaltro e intrigante, attira in Italia Carlo VIII e gli muove guerra nel 1495. Viene battuto poi da Luigi XII di Francia e per il tradimento dei mercenari svizzeri sconfitto a Novara nel 1500, catturato e rinchiuso nel castello (morirà a Loches nel 1508). L'estinzione del ramo sforzesco mette Novara in balia prima dei Francesi, poi degli Spagnoli di Carlo V nel 1527. L'imperatore cede Novara ai Farnese nel 1538, poi la città passa nel 1603 a Filippo III di Spagna.
Novara tra Settecento e Ottocento
Per Novara la soggezione prima ai Francesi poi agli Spagnoli, per due secoli, rappresenta un triste periodo: molti sobborghi vengono distrutti durante la dominazione, data l'importanza strategica della città , fino a che nel 1706 le truppe di Amedeo II di Savoia, alleate con quelle austriache guidate da Eugenio di Savoia, riconquistano il Piemonte. Novara e tutta la Lombardia, a seguito del trattato di Utrecht del 1713 passano sotto l'Austria. I Savoia riescono a strapparla agli austriaci nel 1734 e il Trattato di Vienna la riconosce a Carlo Emanuele III dopo la Pace di Aquisgrana. Ma la città deve passare ancora sotto la dominazione francese del 1798, quella austro-russa del 1799 e ancora quella francese del 1800. Finalmente il regno dei Savoia la annette nel 1814. L'ultima battaglia che vede Novara protagonista è l'infelice scontro della Bicocca, nel 1849, che segna la disfatta dell'esercito piemontese, sconfitto dagli austriaci. Nel 1861 Novara entra a far parte del Regno d'Italia.
La battaglia della Bicocca
L'evento bellico che risolse la Prima Guerra d'Indipendenza italiana fu la battaglia della Bicocca, nei pressi di Novara, dove la linea piemontese a sud della città andava dall'Agogna al Terdoppio. Il 23 marzo 1849 l'esercito piemontese, guidato da Carlo Alberto, contrastò l'attacco di quello austriaco comandato dal maresciallo Radetsky: si combatté per tutto il giorno tra le cascine investite dalle palle di cannone, la Bicocca fu presa, perduta, ripresa ed infine cadde definitivamente in mano del nemico austriaco. I soldati piemontesi allo sbando sciamarono a Novara per Porta Genova, dandosi al saccheggio dovuto alla fame e alla disperazione della grave sconfitta. A Palazzo Bellini il disfatto Carlo Alberto annunciò la sua abdicazione in favore del figlio Vittorio Emanuele II, il 25 marzo gli austriaci entrarono in Novara issando il loro stendardo e lo stesso giorno, in una cascina di Vignale, fu ratificato l'armistizio tra il nuovo sovrano e Radetsky, convinto dall'energico Vittorio Emanuele a non applicare le sue dure condizioni.
Informazioni sull'Autore
Lara Malerba è caporedattore
presso ZeroDelta e si occupa
in particolare contenuti per il web; in particolare supervisiona i
testi di zerodelta.net. Nel raro tempo libero si diletta con il suo
blog.
Fonte: Article-Marketing.it
0 commenti:
Posta un commento